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La poesia della vittoria!

Vince l’epica e la narrazione di Vendola nel Laboratorio Puglia. Vittorioso alle primarie, il poeta di Terlizzi è riconfermato alla Regione. Un politico che viene osannato per la sua leadership carismatica, risorsa scarsa nell’attuale quadro politico, soprattutto di centrosinistra.

Negli ultimi decenni, a causa della de-ideologizzazione e del diverso rapporto dei partiti con i propri membri e con le istituzioni, le leadership di partito hanno distribuito benefici alla membership di tipo soprattutto selettivo e materiale (un ‘posto’, una promozione, un contratto, una agevolazione, una onorificenza e così via), riducendo la funzione dei benefici collettivi e simbolici. Come afferma Piero Ignazi, i partiti hanno vissuto «uno spostamento del baricentro […] da agenzia prioritariamente produttrice e distributrice di simboli e di obiettivi generali ad accaparratrice e distributrice di beni e benefici selettivi […] congruente con l’allentamento dell’identificazione ideale e simbolica dovuto alla secolarizzazione della politica»[1].

Nel caso Puglia, Palese (e quindi Fitto), la Poli Bortone e buona parte del centrosinistra pugliese, sono rappresentativi di un sistema di consenso basato sulla “distribuzione di beni e benefici selettivi”. È il motivo per cui prevale Vendola che, al contrario, rappresenta uno stile di leadership non solo volta all’amministrazione, ma anche alla gestione di miti, simboli ed immagini, che rende significativa e ragionevole la sua proposta politica agli occhi degli elettori.

La vittoria di Vendola è l’emblema di una spinta al cambiamento della fisiologia dei partiti politici, un funzionamento che oramai risponde a sindromi autodistruttive e a circoli viziosi di clientelismo.

La spinta è soprattutto giovane e si muove principalmente sul web (vd. Il Cantiere dell’Alternativa). L’obiettivo? Esportare il modello delle Fabbriche di Nichi, diffondere il “metodo”, far rivivere “la poesia della politica”.

Marina Ripoli

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[1] IGNAZI P., Il puzzle dei partiti: più forti e più aperti meno attraenti e meno legittimi, «Rivista italiana di scienza politica», Anno XXXIV, n.3, dicembre 2004, p. 335.

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Il Design nella comunicazione politica: il caso Vendola

Cosa rende un manifesto elettorale innovativo e allo stesso tempo attraente? E’ la domanda che sorge spontanea di fronte ai manifesti “diversi” di Nichi Vendola. La risposta, o meglio il segreto, lo hanno rivelato nella nostra newsletter i tre giovani esperti di design dello studio pugliese FF3300 che collaborano alla creazione della campagna del candidato presidente: Alessandro Tartaglia, Carlotta Latessa e Nicolò Loprieno.

Le campagne di Vendola e del PD sono curate dalla stessa agenzia di comunicazione. Il risultato, però, è evidentemente diverso. Cos’è che fa la differenza? E qual è il vostro ruolo?

Premessa: noi non partecipiamo al progetto della campagna PD, quindi possiamo parlare di quella che stiamo curando per Nichi.
Nessun candidato in Italia ha mai avuto la lungimiranza di Nichi Vendola circa la comunicazione (e la sua apertura mentale, probabilmente).
Sebbene i più credano che le campagne politiche siano il frutto di un lavoro d’agenzia, questa campagna sperimenta nuove alchimie progettuali.
Su questo concept l’agenzia Proforma ha curato i contenuti, il copy, e la strategia.
FF3300, insieme a Carla Palladino (una forza esterna allo studio, ma con la quale lavoriamo spesso) ha invece curato il “design della comunicazione”.
Quando parliamo di design intendo dire che abbiamo progettato il sistema di icone, con il quale sono stati “sintetizzati” i concetti chiave; abbiamo scritto un programma (con un linguaggio java-derivato) per trasformare l’immagine fotografica di Vendola in un ritratto composto dalle icone delle sue politiche; abbiamo studiato una gamma cromatica che potesse “accompagnare con leggerezza” lo sguardo del cittadino, e soprattutto, abbiamo stravolto l’usuale stereotipo delle campagne politiche, mettendo al centro della comunicazione la realtà, i fatti, l’informazione (e non le promesse, i punti di vista, e il populismo).
Direi che abbiamo fatto tesoro dell’esperienza Obama, reinterpretandola in chiave “locale”.

Ritenete dunque che questo sia un punto di forza per la campagna di Vendola?

Se c’è un buon messaggio, basta comunicarlo con onestà e semplicità. In questo caso il lavoro che viene svolto dai noi progettisti è semplificato dalla grande esperienza di chi cura testi e contenuti, e quindi più che in altre occasioni per noi è possibile investire energie e risorse nello sviluppo di un visual vincente.

In che termini le due agenzie collaborano per costruire la campagna? Quali sono le fasi che portano alla combinazione delle strategie con il “messaggio” e la parte visiva di quest’ultimo?

Noi per fortuna o sfortuna, non siamo un’agenzia, ma un piccolo studio di tre designer, che lavora quasi artigianalmente sulle immagini. Ciò significa che per noi, a differenza che per le grandi agenzie, il messaggio è l’immagine che lo comunica, sono la stessa cosa.
Proforma in questo ci è venuta incontro, permettendoci di trasferire questo modello semiotico anche nella comunicazione politica.
La sintesi di un’esperienza pluriennale sui testi, coniugata con la semplicità e l’immediatezza di codici linguistici ampiamente condivisi, come lo sono le icone, permettono la comprensione del messaggio ad una fascia di utenti maggiore.

Qual è il valore aggiunto del design nella comunicazione e in particolare nella comunicazione politica?

Riteniamo che i partiti politici italiani abbiano tutti un grande problema di comunicazione.
Si muovono su schemi semantici obsoleti, ignorano i social network, e non hanno la minima cura della propria immagine pubblica.
Mi viene in mente quello che ci disse Vendola quando vide i primi manifesti della Fabbrica di Nichi, quelli cuciti a mano, di stoffa: “mi avete portato fuori dalla terza internazionale” disse.

Il design nella comunicazione politica è una pratica poco diffusa in Italia. Perché?

Da sempre in Italia le Agenzie Pubblicitarie hanno imposto una sorta di “orientamento” al mercato, basato sulla quantità al posto della qualità.
A nostro parere, purtroppo, non serve studiare cinque anni per progettare la maggior parte delle campagne politiche in circolazione (probabilmente per noncuranza di chi le commissiona, o per scarsa educazione alla “buona comunicazione” oltre che alla “buona politica”).
Bisogna dare credito, valorizzare la cultura e i giovani che approfondiscono lo studio della comunicazione.
Non possiamo credere che Obama sia un caso, il mondo si trasforma e bisogna capire come poter essere uomini del proprio tempo, bisogna sentire lo spirito del tempo.

Dalle vostre esperienze, quanta responsabilità ha il politico nella scelta di ricorrere al design per la sua campagna? In poche parole, l’utilizzo del design nella comunicazione politica è direttamente proporzionale al grado di innovatività del candidato e del suo staff?

Vendola non è un politico come gli altri, e lo sta dimostrando.
La Puglia è un posto migliore, per questo c’è tanta mobilitazione.
Il fiorire della cultura, delle capacità progettuali diffuse, senza dubbio facilita il cammino di chi promuove la qualità. Nel nostro caso l’invito a partecipare a questo progetto è arrivato in seguito alla visibilità che avevamo avuto curando la comunicazione di un importante festival di teatro internazionale. Come diceva Munari, da cosa nasce cosa, ma per iniziare questa spirale, c’è bisogno di una grande volontà di innovazione.

Cosa avviene invece all’estero?

Il modello Obama, i social network, la semplificazione, e lo studio delle gerarchie delle informazioni sono solo alcuni degli spunti da cui abbiamo attinto.
Spesso non bisogna guardare a cosa fanno gli altri, basta fermarsi a riflettere su come andrebbero fatte le cose, se fossimo alla prima volta.

Quali sono le vostre attese e le vostre previsioni?

Non facciamo previsioni, non siamo astrologi, posso solo dire che noi la nostra battaglia la stiamo giocando al meglio delle nostre possibilità, stiamo cercando di cambiare il modo di fare la comunicazione politica in Italia.

(Intervista a cura di Marina Ripoli)

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